Testimonianze / Il sogno di un mondo migliore…
Articolo per tutti gli amanti degli animali: spesso leggere testimonianze può rendere più forti le proprie convinzioni…il cambiamento è difficile per tutti ma possibile…a fine articolo troverete “il sogno di un mondo migliore” proprio per immaginare come potrebbe essere…
Testimonianza di un ex-macellaio:
“Dopo del tempo che facevo quel mestiere ho cominciato a bere, imitando gli altri miei colleghi. Bevevo sempre di più, fino al punto che ero già ubriaco quando arrivavo al lavoro la mattina. La voce della coscienza era sempre più forte e non avevo altro modo di soffocarla. Molti miei colleghi arrivavano anche a drogarsi, per poter sopportare i lamenti degli animali e continuare a vedere i loro sguardi che ci tormentavano giorno e notte. Finché un giorno, con la pistola stordente in mano, pronta a colpire un vitello, mi parve di vedergli scendere da un occhio una lacrima. Gettai la pistola, andai dal mio capo e gli dissi: preparami i conti, perché da questo momento non lavorerò più qui. Ho impiegato un po’ di tempo a riprendermi, ma ora sono contento e, invece di ucciderli, sono diventato anche attivo nella difesa degli animali”
Testimonianza di una futura veterinaria in visita al macello:
Forse per mancanza di coraggio, per codardia o per eccessiva debolezza, non ho mai guardato di mia spontanea volontà un filmato dove si vedano animali durante la macellazione. Non me la sono mai sentita. Sapevo, per immagini viste o per descrizioni di altri, cosa succede in quelle fabbriche di morte, ma non ho mai voluto guardare ciò che succede lì dentro con i miei occhi.
Ho sempre pensato che non avevo bisogno di guardarli, perché non dovevo essere sensibilizzata sull’argomento: ho deciso di diventare vegetariana e poi vegana tanti anni fa, senza aver mai visto nulla di questo, ma ben sapendo la verità.
E proprio io, che non ho mai avuto il coraggio di guardare, sono stata in un macello di suini e in uno di bovini. Ho visto e sentito tutto con i miei occhi e le mie orecchie, non seduta davanti ad uno schermo ma lì, in piedi davanti a decine di animali in fila pronti per essere condannati a finire nel piatto di qualcuno, in fila per essere uccisi da persone che lo fanno di lavoro, tutti i giorni.
Esseri viventi come noi, con le loro emozioni, i loro sentimenti. Lì in fila, impauriti e destinati ad essere mangiati da noi umani. Li ho visti e guardati negli occhi, ho visto e sentito la loro paura e il loro terrore, la loro incomprensione nel vedere il loro compagno stordito da una scossa elettrica o da un proiettile, in attesa che un coltello impugnato da un essere umano tagliasse loro la gola, ponendo fine alla loro schiavitù.
Sono studente di Medicina Veterinaria e per noi sono previste esercitazioni e tirocini pratici in tutti i campi della veterinaria, non solo quelli relativi alla cura dei nostri cosiddetti animali d’affezione: tra questi c’è l’analisi e l’ispezione di alimenti di origine animale. Per questo ci hanno portato al macello: per assistere alle fasi di macellazione, dallo stordimento fino al completo disassemblamento dell’animale e per insegnarci a fare una visita ispettiva su certi organi e parti degli animali macellati, in modo da escludere la presenza di eventuali patologie o trattamenti illeciti con farmaci che possono danneggiare la salute del consumatore.
Inizialmente avevo deciso di non andarci, non avevo molta scelta ma preferivo “faticare” a passare questo esame piuttosto che assistere all’uccisione di animali innocenti. Poi mi sono fatta coraggio e ho deciso di andare e di vedere in prima persona cosa succede, per sapere e per poter diffondere quello che ho visto e sentito.
In questo macello vengono uccisi circa 120 animali all’ora… 700 al giorno e quasi 120.000 all’anno.
Gli animali arrivano al macello trasportati su camion che penso prima o poi a tutti sia capitato di vedere in autostrada. Qui vengono fatti scendere e rimangono in attesa nelle “stalle di sosta”, dove possono rimanere al massimo 24 ore. In queste stalle gli animali possono solo abbeverarsi, non mangiare, perché altrimenti il contenuto stomacale potrebbe creare poi problemi igienici in fase di macellazione.
Queste prigioni sono vicinissime al luogo di stordimento e uccisione, e gli animali possono sentire i rumori e i versi dei loro compagni che vengono uccisi. Li ho guardati negli occhi ed è stato terribile sapere che entro pochi minuti quegli animali che stavo vedendo lì vivi sarebbero stati letteralmente smontati per finire sullo scaffale di un supermercato.
Uno per uno i maiali o i bovini vengono spinti da un operatore, che spesso si aiuta con un bastone che emette scariche elettriche, in un corridoio che li porta su una pedana dove vengono poi bloccati tramite delle transenne. I maiali vengono storditi tramite elettro-narcotizzazione, cioè viene loro inflitta una forte scarica elettrica in testa: l’animale, ancora vivo, cade a terra, vicino a quello che è appena stato ucciso prima di lui e gli vengono tagliati i grossi vasi del collo per permettere al sangue di uscire mentre ancora il cuore sta funzionando, cosicché l’animale muore per dissanguamento.
Mentre questo succede, l’animale, benché stordito, si muove ed è in preda a convulsioni e quello a cui toccherà poi la stessa sorte lo può vedere e può percepire la sua agonia.
Dopo la morte, i maiali vengono immersi in una vasca di scottatura a 60 gradi, che serve per rimuovere le setole (ma non tutti arrivano lì già morti…). Successivamente, vengono appesi e viene passata una fiamma sui loro corpi per alcuni secondi in modo da togliere i residui di pelo.
Da qui in poi ho assistito ad una vera e propria catena di smontaggio dove alla fine dell’essere vivente che provava emozioni e sentimenti non è rimasto che una carcassa fredda e dura, pronta per essere lavorata e diventare prosciutto, mortadella, salsiccia, lardo e quant’altro.
I bovini invece vengono storditi mediante un colpo in mezzo alla fronte fatto con una pistola a proiettile captivo. Ho potuto vedere da vicino uno di loro, un vitello di circa 1 anno: aveva capito quello che gli stava per succedere e cercava in tutti i modi di evitare la pistola che gli avrebbe fatto un buco nel cervello.
Ma anche per lui non c’è stato niente da fare ed è caduto a terra in pochi istanti, sotto gli occhi del suo compagno in attesa e sotto i miei occhi impotenti. A questo punto è stato appeso per una zampa e l’ho guardato per l’ultima volta negli occhi ormai vitrei ma ancora vivi… e anche a lui è stata tagliata la gola.
Ho visto litri di sangue uscire e sgorgare a terra mentre lui finiva così la sua triste e breve vita. Anche lui, come tutti gli altri prima e dopo di lui, è stato scuoiato e fatto a pezzi. La sua pelle finirà nelle concerie, per fare le giacche, le scarpe o i divani in pelle che arredano le nostre case, la sua carne finirà nel piatto di qualcuno, a casa o al ristorante o a qualche grigliata tra amici.
Mentre la sua testa e gran parte delle sua interiora verranno buttati in quei cassonetti che sono fuori dallo stabilimento… tante teste ammassate una sull’altra, senza pelle, con gli occhi aperti e con quel foro nel cranio che li ha portati via dal mondo.
Io non voglio fare il veterinario per lavorare in un macello. Voglio essere un veterinario che cura gli animali per salvarli, per farli stare bene e per far avere loro una vita bella, sana e che sia la più lunga possibile.
Non voglio curare gli animali per far stare bene un allevatore e i dipendenti della sua azienda. Purtroppo tutto questo all’università e ai professori che ci insegnano il mestiere non interessa: il veterinario è anche e soprattutto questo e se vuoi far parte di questo mondo devi essere presente alle esercitazioni pratiche, come questa e come tante altre, e devi sostenere esami che ti insegnano le tecniche di allevamento e i metodi per macellare gli animali, indipendentemente dal perché tu voglia curare gli animali.
Va bene. Per riuscire a fare quello che si vuole nella vita bisogna sempre andare incontro a degli ostacoli, grossi o piccoli che siano. Questo per me è un grosso ostacolo, perché niente e nessuno potrà mai cancellare dalla mia memoria quello che ho visto e sentito oggi e in questi anni di studio.
Rimarranno sempre nel mio ricordo gli occhi dolci e impauriti di questi animali sfortunati, nati per servire e per soddisfare i gusti e la moda di una specie ignobile di cui mi vergogno di fare parte. Ma dal momento che ormai queste cose sono impresse in me in maniera indelebile, voglio farne buon uso, a favore degli animali che sono morti oggi, di quelli morti ieri e negli anni passati e di quelli che moriranno domani e negli anni futuri… sperando che un giorno tutto ciò non esista più.
Ho deciso di condividere con chi leggerà le mie sensazioni, le mie sofferenze. E ancora di più di trasmettere a voi quello che ho visto e sentito, nella speranza che anche solo uno di voi apra gli occhi e si renda consapevole di cosa succede ogni giorno nel mondo, con la convinzione che anche una piccola goccia di acqua che si muove in senso contrario possa trascinare con sé altre gocce in un fiume in piena, fino ad invertirne il corso.
Testimonianze di Gene Baur & Lorri Bauston (tratte dal libro “The Farm Sanctuary”)
Nel 1986, Gene e io decidemmo di fare qualcosa per aiutare gli animali d’allevamento, ma non sapevamo che cosa e come. Iniziammo quindi a visitare allevamenti intensivi e macelli per informarci sull’argomento, e fu così che cominciammo a salvare animali come Hilda.
Fu durante una visita a uno “stockyard” in Pennsylvania, che la trovammo. Stavamo camminando tra i recinti di animali messi all’asta e scoprimmo una pila di animali morti, ammassati dietro una delle costruzioni. Mucchi di animali morti e in putrefazione giacevano lì, su uno spiazzo di cemento. Mucche con corde strette attorno al collo. Maiali con grosse ferite. Capre con le zampe attorcigliate. L’insistente brulichio delle larve e la puzza nauseante mi colpirono allo stomaco, assieme a domande che non riuscivo a ignorare. Quanto a lungo avevano sofferto? Quanti giorni di agonia e terrore avevano dovuto sopportare prima di morire, solitari e sofferenti?
Gene estrasse la macchina fotografica, e ci avvicinammo alla pila. La macchina fotografica scattò, e uno degli animali della pila alzò la testa. Gene e io ci guardammo, entrambi increduli di quanto avevamo appena visto. Mi inginocchiai accanto all’animale, e Hilda ricambiò il mio sguardo. Era a pochi centimetri da una carcassa in putrefazione, e aveva larve e mosche che le camminavano addosso. Le presi la testa fra le mani, mormorando “povera bimba, povera bimba” per calmarla e impedirmi di urlare.
Gene corse a prendere il furgone, e nel giro di dieci minuti eravamo in marcia forsennata verso il più vicino studio veterinario. Hilda aveva subìto un collasso a causa delle condizioni brutali di trasporto. Non soffriva di altre malattie, né era ferita. Scoprimmo che Hilda era stata caricata su un camion con centinaia di altre pecore. Nonostante il caldo umido, che arrivava a quasi 40 gradi, le pecore erano stipate, un metodo standard usato per risparmiare soldi, anche se così alcune pecore muoiono per il disagio. Hilda faceva parte di quella “perdita economica” di cui l’industria della carne teneva conto nei suoi bilanci. L’industria della carne, del pollo e dei latticini ha un nome per animali come Hilda. Li chiama “downers” (gli “accasciati”).
Portammo Hilda a casa nostra, e capimmo così come poter aiutare gli animali d’allevamento. Aprimmo un rifugio per le vittime della produzione di “cibo animale”, per poterci prendere cura di Hilda e di altri animali d’allevamento bisognosi di aiuto, e iniziammo a rendere pubbliche le atrocità di questa industria.
Continuando le nostre indagini, Gene e io scoprimmo che la storia di Hilda non era unica. Ogni anno, migliaia di animali usati per la produzione di “cibo” subiscono abusi e privazioni perché la sofferenza animale è considerata parte delle “normali pratiche agricole”. Per accrescere il profitto, sugli animali vengono deliberatamente inflitte crudeltà eclatanti, come prigionia, sovraffollamento e abbandono, nonostante il costo tremendo che gli animali devono pagare.
Abbiamo trovato pulcini di pochi giorni gettati nell’immondizia perché non crescevano abbastanza in fretta per essere convenienti per la produzione di carne. Abbiamo visto mucche da latte emaciate, trascinate al macello con le catene perché troppo deboli o malate per camminare, ma ancora buone per essere usate dall’industria della carne. Abbiamo sentito tacchini urlare di terrore quando venivano appesi a testa in giù, del tutto coscienti, e sgozzati e dissanguati a morte perché per il pollame non vige l’obbligo legale dello stordimento preventivo. Spesso ci viene chiesto come facciamo a sopportare la vista di tutta questa sofferenza e morte. Ogni volta che me lo domandano, mi ritrovo a chiedermi che cosa mi dia speranza e ispirazione, e penso a una maialina che ho amato teneramente, chiamata Hope (Speranza).
Hope era stata scartata al mercato del bestiame perché aveva una zampa difettosa e non era più “vendibile”. Hope era solo un cucciolo, aveva appena due mesi. Mi ricordo quant’era spaventata e come cercava di scappare freneticamente, quando ci avvicinammo a lei. Gli umani l’avevano solo presa a calci, strattonata e infine abbandonata. Gene e io le parlammo gentilmente e le avvolgemmo una coperta attorno al corpicino tremante. Si lasciò sfuggire un piccolo grugnito quando la prendemmo in braccio e la sistemammo tra le mie braccia come se l’avessimo conosciuta da sempre.
Per sette anni, Hope fu parte delle nostre vite. La accudimmo, cercando di soddisfare tutte le sue speciali necessità, e lei riempì i nostri cuori d’affetto. Hope fece commuovere anche molte altre persone. Negli anni, insegnò a migliaia di visitatori del rifugio che gli animali d’allevamento soffrono per l’isolamento, la paura e l’abbandono proprio come i cani e i gatti, e come noi. Mi conforta il fatto che Hope abbia raggiunto così tanta gente, specie ora che non è più con noi. Hope morì al rifugio, circondata da tutti quelli che l’amavano. Dopo due anni, mi scopro ancora a guardare nella direzione del suo angolo preferito. Non dimenticherò mai come si metteva a pancia in su per essere accarezzata, o il suo speciale grugnito di “grazie” quando le mettevo di fronte la ciotola del cibo. Soprattutto, però, non dimenticherò mai come la sua vita sia stata l’ispirazione per continuare la battaglia per i diritti degli animali d’allevamento.
Si possono perdere facilmente le speranze, dopo aver visitato un macello o un allevamento intensivo ed essere stati testimoni di tanta crudeltà. Non dimenticherò mai la prima volta che andai in una fabbrica di uova e vidi l’orrore dei moderni metodi di produzione. Per produrre uova, da quattro a cinque galline sono stipate in una gabbia grande quanto un giornale piegato in due. Le gabbie sono disposte in file di migliaia, l’una sull’altra. In un singolo capannone senza finestre sono ammassate da 80.000 a 100.000 galline. La distribuzione di cibo e acqua è completamente automatizzata, e così pure la pulizia. Non c’è alcuna attenzione o cura verso il singolo animale. Gli uccelli sono sottoposti a questa pena per due o tre anni, senza poter dispiegare le ali, camminare, e nemmeno sdraiarsi.
Dopo mesi di prigionia intensiva, gli uccelli perdono la maggior parte delle piume, perché strisciano in continuazione contro le sbarre di ferro. Senza la protezione delle piume, la loro pelle si ricopre di piaghe doloranti. Quando le galline sono troppo ammalate o ferite per deporre uova ai massimi livelli di produzione, sono letteralmente gettate fuori dalla gabbia e lasciate per terra a morire lentamente di fame.
Trovammo Lily sul pavimento di una fabbrica di uova: aspettava solo che la morte ponesse fine al suo incubo. Stava in piedi in un angolo, cercando disperatamente di evitare di cadere su un mucchio di feci e piume e ossa in putrefazione. Lily aveva perso tutte le speranze. Il suo intero corpo era accasciato, la testa quasi strisciava sul terreno. Era ricoperta di ferite, e il suo occhio sinistro era chiuso e gonfio. La raggiunsi, e la presi gentilmente in mano. Tremava, mentre la sollevavo. Continuai a parlarle sussurrando, dicendole dolcemente che io ero vegan e che la sua sofferenza era finita. I miei “rassicuranti discorsi vegani” mi sembrano sempre ridicoli dopo ogni intervento, ma, non importa quanto idiota io mi senta il giorno dopo, sono diventati uno dei miei “rituali di salvataggio”.
Per due settimane Lily ricevette cure intensive di riabilitazione. Era troppo debole per camminare, e per tutto il giorno la tenevo su per aiutarla a riguadagnare forza nelle zampe. Il 75% del suo corpo era ricoperto di ferite, e quattro volte al giorno le facevamo impacchi caldi per ridurre il gonfiore. Poiché era molto emaciata, poteva mangiare sono piccole quantità di cibo liquido ogni poche ore, da un contagocce. In più di un’occasione, mi sono chiesta se stessi facendo la cosa giusta, o se stessi solo prolungando la sua sofferenza.
È la domanda che sempre ci poniamo al rifugio quando un animale è vicino alla morte – ma poi, una mattina, ebbi la risposta. Aprii la porta del recinto di Lily, e lei camminò verso di me e mi guardò da sotto in su. Mi sedetti immediatamente per arrivare il più vicino possibile ad “altezza di gallina” e Lily mi salì in braccio. Questa volta ero io quella tremante, mentre le accarezzavo il mento. Lily mi trasmise il suo amore in un modo che io ero in grado di capire, proprio come fa un cane quando “parla” con la coda o una gatto che fa le fusa.
Salvare un animale come Lily mi fa sempre pensare alle volte in cui non siamo in grado di salvare un animale sofferente, come la volta in cui Gene e io visitammo un macello in California, nella Chino Valley a sud di Los Angeles. Quest’area ha la maggior concentrazione di mucche da latte del mondo, il che significa che ha anche una delle maggiori concentrazioni di produzione di carne bovina. Le mucche da latte non vanno in pensione nei rifugi; vengono macellate e usate per fare hamburger. La maggior parte degli hamburger venduti negli USA vengono dalle mucche da latte, non dalle foreste tropicali.
Stavamo a guardare dall’area di scarico bestiame e vedevamo arrivare le mucche una ad una. Gene stava filmando la scena e il mio compito era di scattare foto. Alcune delle mucche erano “downer”. Secondo i rapporti dell’industria latto-casearia della California, una mucca da latte su quattro diventa downer a causa delle malattie provocate dall’eccessiva produzione di latte. Le mucche da latte sono costrette a produrre una quantità di latte dieci volte maggiore rispetto a quanto farebbero in natura, e il problema è peggiorato dall’uso dell’ormone bovino della crescita e dalla manipolazione genetica.
Misero tutti i downer in un unico recinto, e poi arrivò un operaio a sparare ad ogni una mucca. Fu un processo lento. Tra una uccisione e l’altra passavano diversi minuti, e gli animali ancora vivi dovevano star lì sdraiati a guardare. Ce n’era una che assomigliava molto a Maya, una mucca che avevamo al nostro rifugio di New York. Tremava di paura, e io desideravo così tanto abbracciarla e confortarla. Più tardi, tornati alla macchina, questo pensiero divenne insopportabile. Continuavo a pensare a Maya e a quanto lei amasse la vita. Beh, in realtà, a quanto amasse mio marito Gene.
Maya adora Gene ed in realtà è gelosa di me. Mi spinge via ogni volta che io e Gene siamo nella stalla, e siccome lei è una signora di 800 kg, mi ha anche gettato a terra più di una volta. Naturalmente, anche Gene deve stare attento. Quando Maya va in calore, tenta di montarlo. Nella famiglia bovina, sono le femmine che comandano nell’accoppiamento. (Forse noi donne umane dovremmo imparare qualcosa dalle nostre sorelle bovine). Sta lì in piedi e osserva Gene con sguardo adorante, muggendo dolcemente verso di lui e poi si gira e mi lancia occhiate d’odio.
Pensavo a Maya, alle cose che le piacciono e a quelle che non le piacciono, alla sua personalità unica, e pensavo a quella povera mucca tremante che voleva vivere tanto quanto Maya, o quanto voi e me. Gli animali d’allevamento sono animali che vivono, che sentono; non sono “colazione”, “pranzo”, “cena”. Gli americani hanno tracciato una linea immaginaria e classificato alcuni animali come “d’affezione” e altri come “da mangiare”. La nostra società è orripilata (giustamente) da altri popoli che mangiano cani o gatti, e la maggior parte della gente non farebbe mai intenzionalmente del male a un cane o a un gatto. Le persone che amano gli animali chiamati “d’affezione” non mangerebbero gli animali definiti “da mangiare” se solo potessero guardare negli occhi un animale sofferente.
La produzione di animali “da carne” è la più grande e più istituzionalizzata forma di maltrattamento di animali. Miliardi di animali vivono una vita di tormento e sofferenza, e milioni di persone sono complici nel causare questa sofferenza. Ma la vita di Hope, e ora la sua memoria, mi ricordano sempre che possiamo fermare la produzione di “cibo animale” – una vita alla volta, una legge alla volta e una persona alla volta che diventa vegan dopo aver incontrato un animale come Hope.
Se vedessi una gallina ovaiola come Lily, o una mucca da latte spaventata, non faresti tutto quanto in tuo potere per porre fine alla loro sofferenza? Bene, ciascuno di noi può eliminare la sofferenza delle mucche da latte, e ognuno di noi può far chiudere le fabbriche di uova e di polli, perché ciascuno di noi può diventare vegan.
L’industria del latte, delle uova e della carne sfrutta e uccide animali perché la gente compra questi prodotti. Se non compri la carne, le uova e i latticini, nessuno li produrrà. Semplice e chiaro. La produzione di cibo animale è fortemente radicata nella società, ma è proprio per questo che abbiamo una grande opportunità per fermarla. Ciascuno di noi può agire, subito, e forse è proprio per questo che essere vegan è una esperienza che fa sentire tanto potenti.
Quando smetti di consumare animali e prodotti animali, impedisci la macellazione di centinaia di animali. La tua azione salva delle vite, ed è tanto diretta quanto andare in un allevamento o in un macello e salvare un animale come Hope. Quando diventi vegan, inizi a creare un legame speciale con gli animali d’allevamento. La fratellanza vegana è potente, ti toccherà e cambierà la tua vita per sempre. Noterai che ti accadono cose strane e meravigliose quando diventi vegan – come la volta in cui salvai Jessie. Beh, in realtà la volta in cui Jessie si salvò da sola.
Gene e io stavamo facendo un viaggio in campagna con vari tacchini durante uno dei nostro progetti annuali “Adotta-un-Tacchino” nel periodo della festa del Ringraziamento. Ogni anno, incoraggiamo la gente a salvare un tacchino anziché metterlo da parte per la festa. Facciamo adottare i tacchini a famiglie vegetariane e amorevoli, e invitiamo i media a dar notizia del nostro particolare modo di celebrare il Ringraziamento.
Eravamo in Colorado (uno dei maggiori produttori di carne bovina) quando la vidi lungo l’autostrada. Un giovane vitello di razza Angus era solo a pochi metri dalle auto sfreccianti. Scendemmo, ci mettemmo gli stivali, e ci avvicinammo. Era molto spaventata e iniziò a scappare. Una zampa ferita le impediva di correre velocemente, così la raggiungemmo in pochi minuti. La nostra nuova “bambina” pesava circa 75 kg, e mentre ci affannavamo a farla entrare nel furgone, sentimmo urla arrabbiate e vedemmo un uomo correre verso di noi.
Scoprimmo presto che Jessie era saltata fuori da un camion che correva a 90km l’ora. Quando capii cosa aveva fatto per sfuggire al suo destino, mi sentii come una madre mucca infuriata, pronta a incornare chiunque volesse portarle via il suo vitello. Nonostante la difficoltà a stare calma, spiegai al proprietario che eravamo agenti anti-crudeltà e che volevamo portare via questo vitello perché, ovviamente, non poteva portarlo all’asta, ora. Con mia grande sorpresa, il proprietario fu d’accordo. Ero pronta a dar battaglia, dato che animali malati o feriti vengono continuamente venduti alle aste in modo del tutto legale. Ancora oggi, non so se abbia acconsentito perché era sotto shock o perché aveva visto nei miei occhi una mucca infuriata o perché forse, ma proprio forse, aveva una piccola dose di fratellanza vegana nascosta dentro di sé.
La sfida successiva fu far passare Jessie al confine con la California, perché aveva bisogno di essere curata in una clinica specializzata nella California del nord. Guidammo tutta la notte con lei e quattro tacchini in mezzo una spaventosa bufera di neve, e proprio mentre stava albeggiando, arrivammo al confine con la California – e al punto di controllo agricolo. Ora, ogni madre tacchina sa che l’alba è il momento in cui i tacchini si svegliano e iniziano a chiocciare, e sapevamo che non avevamo molto tempo. Accendemmo la radio e ci avvicinammo cautamente all’agente di guardia. Ci chiese se avevamo arance o mele. Io sorrisi con dolcezza e dissi no e continuai a guidare col più grosso sorriso che abbia mai fatto. Jessie sopravvisse e ora è una mucca piena di salute. Non ho mai considerato me stessa come una persona religiosa o che pensa “tutto accade per un motivo ben preciso”. Eppure, non posso evitare di chiedermi se lei sapeva che eravamo dietro di lei quando è saltata giù dal camion – almeno, mi piace pensare che fosse così.
Da vegan, sono stata testimone di tante cose incredibili, di tanti legami speciali con gli animali d’allevamento. Sappiamo tutti che le persone sviluppano un particolare legame con gli animali cosiddetti “da compagnia”. La maggior parte delle persone hanno amato un cane o un gatto e hanno vissuto molti momenti di profonda comprensione e affetto. Io so che ogni volta che mi sento giù, la mia cagnetta Suzy lo sa sempre, e viene da me e mi si siede accanto con comprensione. Mi guarda con una tale espressione di pena, una tale preoccupazione, che devo sorridere.
Al Rifugio, abbiamo legami speciali anche con gli animali che ospitiamo. Il più delle volte, si tratta semplicemente della quotidiana comunicazione con loro, ma alcune volte questo legame ci viene ricordato con un potente messaggio di fratellanza vegana. Diane, la nostra coordinatrice del rifugio californiano, mi raccontò uno di questi “momenti preziosi”: una volta si ferì un braccio mentre era nella stalla dei vitelli. Le faceva talmente male che non riusciva a muoversi e non poté far altro che rimanere lì seduta a piangere. Anche se in quel momento non erano nella stalla, nel giro di pochi minuti apparvero Joni e Henry, due dei vitelli. I bovini hanno un ben definito “muggito di dolore” ed entrambi lo usarono quando videro Diane per terra. Si avvicinarono con cautela, toccandola col naso. Il loro muggito si addolcì, trasformandosi in un muggito di conforto. Per più di venti minuti le stettero vicino, leccandole gentilmente la faccia, fino a che Diane poté muoversi di nuovo.
Se ti lasci toccare, gli animali ti toccheranno, e gli animali d’allevamento sono animali. Una mucca o un tacchino o un maiale è in grado di provare gioia e tristezza, o dolore e conforto, come un cane o un gatto. Come molte persone, io sono tanto fortunata da avere l’affetto e la compagnia di cani e gatti, animali che sono veramente parte della mia famiglia. Ma, al contrario di molte persone, ho anche conosciuto l’affetto e l’amicizia di mucche e maiali e tacchini e polli – animali d’allevamento che hanno sofferto orribilmente negli allevamenti intensivi e nei macelli, ed ero io la colpevole – ogni volta che mangiavo una pizza con la mozzarella o un dolce fatto con le uova, ogni volta che non mi importava abbastanza da sentire il loro dolore. Dobbiamo ricordare sempre la sofferenza degli animali perché è attraverso di essa che sentiamo l’amore, che si traduce nella necessità di fermare la sofferenza.
La prossima volta che vuoi mangiare carne o formaggio o uova, immagina di vivere la tua vita in una gabbia piccola, sudicia, in una sofferenza continua, impossibilitato a stare in piedi o a sdraiarti in modo confortevole. Dopo mesi di agonia, la tua tortura ha termine, ma non al macello. Due mani gentili ti tirano fuori dall’oscurità e ti portano in un posto sicuro e amorevole. Per la prima volta, puoi camminare su prati verdi e soleggiati e riposare in un comodo letto di paglia soffice. Tu stai dando una speranza agli animali bisognosi.
Io mi sento fortunata a dividere la mia vita con animali come Hilda e Hope. Sono grata che i miei vecchi amici non abbiano mai conosciuto il terrore e la pena di un macello e di aver potuto vederli “diventare vecchi” al rifugio.
Mi scopro spesso guardar fuori dalla finestra verso la stalla delle pecore. Hilda è lì, che pascola tranquilla. A volte mi chiedo che cosa si ricordi di quell’orribile viaggio verso il macello. Hilda è rimasta timida verso gli umani, anche dopo tutti questi anni. È un privilegio raro quando ti si avvicina e uno ancora più raro quando ti lascia grattarle il mento. Ci abbiamo messo un po’ a rassegnarci a questo e a un momento imbarazzante con Hilda – imbarazzante per noi, voglio dire, non per Hilda. Accadde circa un anno dopo il suo salvataggio. Stavo lavorando nella stalla, quando Gene mi raggiunse correndo, sorridendo da un orecchio all’altro. “Le piaccio! Piaccio a Hilda!” proclamò, sorridendo come un padre orgoglioso. “Mi segue dappertutto, non mi lascia un attimo”. Non ci potevo credere, e, provando una fitta di gelosia, non ero sicura di volergli credere. Ma, come Gene entrò nel pascolo delle pecore, ecco la prova. Hilda trottò verso di lui e quasi gli si strusciò contro. Gene si avvicinò a me e Hilda lo seguì.
Le ore passavano, e Hilda continuava a star accanto a Gene, seguendolo mentre dipingeva, nel granaio, alla pila del compost. Com’è sua natura, Gene mi fece gentilmente notare che forse aveva scelto lui anziché me perché ero io quella che le tagliava gli zoccoli. Ma dopo diverse ore di adorazione, anche Gene iniziò a insospettirsi per questa improvvisa dimostrazione di affetto. Poi capimmo, e quello fu il giorno in cui ci trasformammo ufficialmente da “cittadini” a “contadini”. Hilda non era innamorata: era in calore. Ora, dopo aver saputo anche della storia di Maya, probabilmente vi chiederete quanto affascinante può essere un umano? Allora probabilmente non avete conosciuto Gene, quindi, come possiamo spiegarvelo, io o Maya o Hilda? Noi tutte condividiamo uno speciale legame vegano con lui, e non posso aggiungere altro.
Il sogno di un mondo migliore:
(Tradotto e adattato per l’Italia, dall’articolo “How to know the vegan revolution has arrived”, www.veganstreet.org (USA))
Un giorno ti svegli all’improvviso in un mondo nuovo – un mondo in cui la maggioranza è vegan… come capire che quel giorno è arrivato?! Ecco alcuni indizi…
Sotto Natale, la tua radio locale intervista un contadino del posto, che vende tacchini di tofu. Racconterà “Eh sì, l’abbiamo fatto ingrassare per tutto l’anno”, dando qualche pacca di incoraggiamento a un tacchino di tofu che rotola sul nastro trasportatore.
Tutti i vecchi allevamenti intensivi, gli zoo e gli acquari sono ristrutturati come rifugi per gli animali, prima prigionieri, che non riescono ormai a riadattarsi a una vita libera.
Chi vuole mangiare carne durante un volo aereo deve prenotare un pasto speciale prima del volo. Se poi la hostess si sbaglia e gli consegna un pasto vegan, non dicono niente, si vergognano a creare problemi.
La taglia XXL scompare dagli scaffali dei negozi.
I cardiologi dovranno cambiare mestiere, perché le malattie cardiache scompariranno quasi.
McVegan diventa la più grande catena di fast food e offre menu solo vegan, tra cui il famoso Big Tempeh; il cartello sotto la M gialla dirà “Più di 10 miliardi di animali salvati”.
Quando i teen-agers diranno ai loro genitori che vogliono diventare vegan, anzichè preoccuparsi per il ferro e le proteine, i genitori piangeranno di goia, dicendo “Tesoro, era ora!!!”.
Ci saranno riunioni settimanali nelle parrocchie e nei consultori dei “Carnivori Anonimi” che vogliono disintossicarsi. Cercheranno di liberarsi del “Demone della Carne” attraverso gruppi di supporto e una terapia passo-passo.
I carnivori saranno confinati in alcune zone speciali dei ristoranti in modo da non intristire e infastidire i vegan che si stanno gustando i loro pranzi deliziosi.
Ogni autunno, migliaia di uomini in atteggiamento da super-macho in abbigliamento mimetico invaderanno i boschi con macchine fotografiche con super-tele-obiettivo e una guida per l’identificazione degli uccelli.
Qualche alunno delle scolaresche in visita a Roma per vedere il Museo degli Allevamenti Intensivi mormorerà “Mamma, ma davvero la gente trattava gli animali in questo modo?”
Riflettiamo con qualche aforismo:
La gente mangia carne e pensa: “diventerò forte come un bue. Dimenticando che il bue mangia erba” (scon.)
« Dobbiamo svuotare le gabbie, non renderle più grandi. » (scon.)
Maiali costretti in stambugi senza luce. Galline chiuse notte e giorno nell’incubatrice. Oche inchiodate con le zampe al pavimento. Vitelli che passano dalla prigione al macello senza aver mai visto un prato. Gli ultimi animali, superstiti di una moltitudine che riempiva festosamente la terra, sono ridotti a un’eterna notte.
Francesco Burdin, Un milione di giorni, 2001
Mi addolora che non si arriverà mai a un’insurrezione degli animali contro di noi, degli animali pazienti, delle vacche, delle pecore, di tutto il bestiame che è nelle nostre mani e non ci può sfuggire.
Elias Canetti, La provincia dell’uomo, 1973
Dicono di avere abolito i sacrifici animali! Soltanto il rito hanno abolito: li sterminano ininterrottamente, illimitatamente, senza bisogno: il sacerdote si è fatto industria.
Guido Ceronetti, Il silenzio del corpo, 1979
Siamo circondati da un’impresa di degradazione, crudeltà e sterminio che può rivaleggiare con ciò di cui è stato capace il Terzo Reich, anzi, può farlo apparire poca cosa al confronto, poiché la nostra è un’impresa senza fine, capace di autorigenerazione, pronta a mettere incessantemente al mondo conigli, topi, polli e bestiame con il solo obiettivo di ammazzarli.
John Maxwell Coetzee, La vita degli animali, 1999